Cambiamento, riforme e leadership

La percezione di una stato di crisi induce alla richiesta di un cambiamento ed è indubbio che oggi si sia in un momento del genere. La parola “crisi” è quella più pronunciata ed è spesso collegata all'aggettivo “sistemica” per alludere che non di una crisi passeggera o che affligga uno o più aspetti della vita collettiva, ma che si tratta di una “crisi globale” che necessità di soluzioni forti, decisioni veloci e risolutive. Meno facile è identificare quali soluzioni e quali decisioni prendere, qui le voci si accavallano, le passioni si accendono e la confusione aumenta. Sembra che un mutamento sia necessario, ma anche che sia “spaventoso”. Un atteggiamento contraddittorio di voglia di cambiare e di resistenza al cambiamento. Alle volte allontanarsi dalla quotidianità e rileggere qualche passo di vecchi libri può offrire uno sguardo “nuovo” alla situazione, in particolare se l'autore che si legge è di quelli “difficili”, incapaci di offrire consolanti visioni globali, ma capaci di aprire “orizzonti” sempre nuovi. Per me uno di questi autori è Albert O.Hirschman. Ma questo articolo non vuole essere una descrizione di questo autore e delle sue tesi, sarebbe peraltro difficile perché Hirschman non ha tesi e vuole “complicare” le cose, non ama le certezze ed è abituato a “sovvertire” le sue, bensì una semplice riflessione, partendo da alcune sue pagine che potrebbe avere attinenza con il presente. E' convinzione di H. che sia inutile e, persino, dannoso cercare paradigmi totalizzanti esplicativi delle situazioni, egli preferisce riflettere sulle cose a partire da quella che lui ha chiamano “a bias for hope”. Il termine si può tradurre con “un pregiudizio per la speranza”, in realtà quello che è uno dei più bei titoli e delle più significative acquisizioni epistemologiche di H. tradotto diventa quasi una banalità, è il destino delle opere di questo autore. Bias è un termine scientifico che significa molte cose in discipline diverse, ad esempio in fisica e tecnica elettronica è il valore di una variabile introdotta appositamente o sempre presente; in particolare, errore sistematico. L'Enciclopedia Treccani la descrive così “Tendenza interna propria di un sistema a trasmettere o elaborare un’informazione non in modo attendibile, ma influenzandola in modo sistematico in una certa direzione riconoscibile.”1 Ora diventa chiaro cosa intenda H. il “bias for hope” è una variabile che “porta” a vedere il positivo, si badi che la variabile è introdotta come “correttivo” all'analisi e prescinde da essa. Insomma in parole povere, molto povere, analizzando una situazione dovremmo propendere per la speranza, ciò ci può portare a visioni inaspettate. Ancora banalizzando si ricorda che etimologicamente crisi significa “scelta”, “mutamento” e che l'accezione negativa di “mutamento in peggio” non è più giustificata di quella “mutamento in meglio”. Nel caso di H. bisognerebbe operare con il bias. Inoltre in genere la visione dei mutamenti è che essi siano “diretti”, vuoi da qualcuno o da “leggi” impersonali. Se guardiamo alla sola crisi economica l'idea banale è che la crisi sia stata prodotta dai cattivi banchieri o dall'instabilità intrinseca del sistema capitalistico, c'è poi la visione del mainstream economico che dice che non c'è nessuna crisi, ma un passeggero “aggiustamento” dell'equilibrio in zone periferiche ed arretrate del sistema, che si aggiusteranno per l'appunto nel momento in cui queste zone faranno i “compiti a casa” ovvero che la crisi è prodotta dall'intervento dello Stato, i colpevoli sono i politici. Ognuna di queste tesi ha più o meno raffinate analisi, però nessuna coglie il fatto che il mutamento è sempre in atto e che tutti gli attori (banchieri, politici, cittadini) partecipano al mutamente senza che nessuno lo diriga, ma ognuno lo influenza, con modalità diverse. Insomma H. ci spiega che, non solo in momenti di crisi, ma sempre, le situazioni non sono immobili, sono dinamiche, anche se i mutamenti non sono sempre visibili, anzi spesso c'è una resistenza a vederli. H si è professionalmente occupato di economia dello sviluppo, in particolare dello sviluppo dei paesi sudamericani. In questa disciplina ha lasciato i suoi contributi più importanti, ma non parlerò di questo. Vorrei dargli direttamente la parola, questo renderà più lungo il mio scritto, ma vorrei anche emergesse la sua prosa e la sua capacità di ricavare dalla quotidianità elementi di riflessione più generali2: Durante una recente visita ad una capitale Latino-ameri­cana, volli riprender contatto con X, uno storico economico da poco tempo rientrato da un soggiorno in Europa durato parecchi anni. Invitato a cena da un sociologo, gli domandai se conoscesse X. Certo, lo conosceva benissimo, ma non aveva it suo numero di telefono; poteva per° sicuramente procurarselo chiamando un amico comune. Sfortunatamente, l'amico non era in casa. Gli chiesi se ritenesse possibile che il numero di X comparisse nell'elenco telefonico, ma il suggerimento fu accantonato con l'osservazione che l'elenco si fa un punto d'onore di registrare soltanto gli emigrati o i morti. Dopo un momento arrivarono gli altri invitati, un economista e sua moglie, e furono richiesti del numero telefonico di X. L'economista disse che X doveva esser molto cercato, ma assai difficile da rintracciare, dal momento che negli ultimi giorni erano stati in parecchi ad informarsi sul modo di mettersi in contatto con lui. Il problema, giudicato disperato, fu lasciato cadere, e tutti passammo una piacevole serata. Risvegliandomi l'indomani mattina nella mia stanza d'albergo notai l'elenco telefonico sul tavolino da notte, e non potei resistere alla tentazione di sfogliarlo per controllare_se X vi fosse registrato. Lo trovai immediatamente, e formai il numero. sicuro che fosse quello di cinque anni prima, anteriore alla partenza per l'Europa. Ma all'altro capo del filo la nota voce di X.

1. Speciali ostacoli alla percezione del mutamento nei paesi sottosviluppati

Si da il caso che X sia Claudio Veliz, attualmente direttore di un nuovo Istituto di Studi Internazionali a S e curatore del recente volume Obstacles to Change in America'. Nel corso della nostra telefonata, mi chiese di tenere una conversazione al suo istituto. Siccome l'episodio che avevo appena vissuto confermava il mio antico sospetto che in America Latina ed in altri paesi meno sviluppati gli ostacoli al mutamento s'intrecciassero con considerevoli ostacoli alla percezione del mutamento medesimo, e che un'esplorazione di quest'ultima specie di ostacoli poteva forse essere un tema interessante, anche se un poco irriverente. Le osservazioni contenute in questo paragrafo basate sulla conversazione che segui, e devono altresi molto alla vivace discussione ch'essa provoco.

In una considerevole misura, le difficoltà di percepire il mutamento sono un fenomeno universale. In tutti gli stadi dello sviluppo, gli uomini sono restii ad abbandonare i vecchi cliches e stereotipi che li hanno serviti tanto bene, e rendono il mondo attorno a loro intellegibile, confortevole e sensato, o magari, come nel nostro episodio, assurdo in una maniera quasi simpatica. Storici e psicologi hanno documentato le difficoltà di percepire ciò che, alla stregua dell'esperienza precedente, è sentito come incongruo, come pure la riluttanza ad assorbire nuove informazioni che contrastino con le credenze consolidate, o siano altrimenti spiacevoli. Qui io non sono però interessato tanto al fenomeno generale, quanto alla possibile esistenza di ostacoli speciali o addizionali alla percezione del mutamento nei paesi in cui lo sviluppo economico e sociale ha ristagnato.

A titolo preliminare, occorre esaminare brevemente un punto che non è puramente terminologico. Si distingue spesso tra mutamenti «reali» e «apparenti», o tra mutamenti «fondamentali» e «superficiali»: un espediente che permette di classificare come superficiali un gran numero di mutamenti che si sono positivamente verificati, e di asserire di conseguenza che non è avvenuto nessun mutamento reale. L'affermazione che ha avuto luogo un mutamento reale è fatta dipendere da uno o più banchi di prova. Per esempio, si sostiene spesso che «nessun mutamento reale» può avvenire a meno che la distanza assoluta che separa il reddito pro capite dei paesi sottosviluppati da quello dei paesi sviluppati registri una riduzione sostanziale, o a meno che si verifichi quella particolare specie di radicale ed improvvisa redistribuzione della ricchezza e del potere che è il risultato di una rivoluzione socialista. Ma il fatto di imporre banchi di prova cosi esigenti è in se un indizio dell'esistenza di una speciale difficoltà e riluttanza ad ammettere il mutamento, se non quando divenga materialmente impossibile negarlo. Ebbene, il nostro compito è qui per l'appunto di spiegare questa riluttanza e questa difficoltà.”

A questo punto H. prosegue identificando quali siano alcune delle più diffuse resistenze a percepire il cambiamento, ma non lo seguiremo in questo, anche se sarebbe interessante, spero che queste poche righe bastino al lettore per incuriosirsi e voler leggere questo autore.

Viceversa voglio sottolineare in che senso H. intenda cambiamento perché è interessante per più versi. Ovviamente il termine cambiamento comporta, per ognuno di noi, una valutazione, esso può essere “positivo” o “negativo”. Non è così in H. poiché il cambiamento per lui è sempre in atto, costituisce, per così dire, il panorama in cui si svolge la vicenda umana. H. in un'altra opera3 ha analizzato i modi retorici per opporsi ai cambiamenti e quelli per appoggiarlo sempre. Per H. il cambiamento è, sempre, sia positivo che negativo, esso presenta aspetti problematici ed opportunità di sviluppo positivo. Talvolta uno di questi aspetti, quello negativo o quello positivo è immediatamente percepibile, mentre l'altro non si vede, per i motivi che analizza anche in questo articolo, ma è presente. Per cui sia l'atteggiamento di rifiuto del cambiamento che quello di entusiastica accettazione sono privi di senso, ovvero posseggono un senso ideologico. Siamo immersi nel cambiamento, a noi cercare di coglierne e sviluppare gli aspetti positivi. Il “bias for hope” è la convinzione che l'azione degli uomini possa “governare” il cambiamento, pur non possedendone le leggi.4

In definitiva:

1) Le cose cambiano, anche quando non sembra;

2) Il cambiamento è, in se, neutro, può essere diretto verso il “bene” o verso il “male”;

3) Il “bene” ed il “male” sono termini relazionali, ovvero sono “bene” o “male” rispetto a qualcosa, da noi, ritenuta avente valore5

Ridiamo la parola da H.:

Tirando le somme, la nostra ricerca di ostacoli alla percezione del mutamento peculiari dei paesi sottosviluppati s’é rivelata sorprendentemente fruttuosa. Un successo che é causa di preoccupazione: quando la percezione del mutamento in atto incontra difficoltà speciali, molte occasioni per accelerarlo, e per sfruttare le nuove opportunità di possibili trasformazioni che vengono emergendo, andranno sicuramente perdute. In tal modo, ostacoli alla percezione del mutamento divengono un importante ostacolo al mutamento medesimo. Si pub presentare la situazione anche nella forma di un circolo vizioso: nella misura in cui é sottosviluppato, un paese sperimenterà speciali difficoltà nel percepire i mutamenti che intervengono nella sua propria società, col risultato che non rileverà le opportunità che ne nascono per mutamenti ancor più vasti e decisivi. Ed un paese che manca di percepire tali opportunità è verosimilmente destinato a restate sottosviluppato.”

In altre parole se non cogliamo il mutamento, non riconosciamo che le cose stanno cambiando non possiamo sfruttare le possibilità positive ed esso si vanificherà. In altre parole, se non “crediamo” che le cose stiano cambiando esse non cambieranno, ovvero magari muteranno le condizioni sfavorevoli esistenti, ma il carattere sfavorevole permarrà.

A questo punto H si domanda : “Proviamo a domandarci: non è possibile uscire da questo circolo vizioso mediante la giusta specie di leadership,ossia una leadership capace di percepire il mutamento? Legare in tal modo il problema della percezione del mutamento a quello della leadership pub sembrare artificioso; eppure questi problemi sono cosi difficili, che vale la pena di tentare approcci indiretti. Un utile approccio indiretto al problema della leadership consisterebbe nel cominciare con l’individuare (come ho appena fatto) alcune credenze, atteggiamenti e percezioni dominanti non soltanto nella comunità complessivamente considerata, ma anche nelle sue élites. Si potrebbe poi indagare se, e in quale misura, i leader siano suscettibili di deviare da queste medie, e provare a definire la leadership in termini di siffatte deviazioni.”

Cioè, detto in altre parole, si può uscire dal “circolo vizioso” identificando una leadership capace di “vedere” il cambiamento? Un paese con problemi, l'analisi di H. si rivolge ai paesi del sudamerica, tende a non vedere i fenomeni di mutamento, che pure avvengono, e si mantengono gli atteggiamenti e le credenze che hanno prodotto i problemi. Il problema che ora si pone H. è se una leadership, e che tipo di leadership, può spezzare l'inerzia che tende a far vedere la situazione come immodificabile o a ripercorrere soluzioni che in passato hanno prodotto esattamente i problemi che lamentiamo. La risposta non è semplice. H: “Il guaio con una definizione del genere (ma anche il suo interesse) e che le deviazioni dagli atteggiamenti e percezioni medie possono assumere parecchie forme tra loro contrastanti. Può innanzitutto avvenire che accedano alla leadership individui che si attengono alle percezioni medie con un grado non comune di «appassionata intensità», che le articolano con maggior vigore, e che rispecchiano ed esprimono nel modo migliore ciò ch’e nel cuore e nella mente di ognuno. Le false percezioni medie, sul tipo di quelle che abbiamo passato in rassegna, sono naturalmente anch’esse rispecchiate e accentuate da questa specie di leader; e la sua capacita di simpatizzare con esse, o la sua cecità verso il mutamento in atto, e probabilmente una parte importante dell’attrattiva che esercita. Robert Tucker osserva che la leadership carismatica poggia in una misura considerevole sulla capacita del leader di «accentuare la sensazione che ci si trova in una condizione disperata>>“, presumibilmente senza riguardo per il fatto che tale sensazione sia giustificata oppure no dagli eventi reali.”

Insomma, un leader non diventa leader senza condividere le sensazioni, le credenze e la visione della media del suo popolo

Pure, l’accentuazione, l’esagerazione e la vigorosa articolazione degli atteggiamenti e delle percezioni dominanti non può esser l’unica base della leadership. Un’altra é sicuramente la capacita di superare e trascendere alcuni di questi atteggiamenti. Nel nostro caso, è proprio la capacità di percepire il mutamento quando i più dei contemporanei ancora non vi riescono che mette un leader in grado di sfruttare le nuove opportunità non appena si presentano. In questa situazione, un leader sembra spesso creare tali opportunità da solo, senz’aiuto.”

 

Un esempio di questa specie di leadership, basata sulla percezione anziché sulla negazione delle opportunità, é stato recentemente fornito da Carlos Lleras Restrepo, la cui magistrale prestazione nel dare il via alle leggi di riforma agraria, e poi nel farle approvare dal Congresso colombiano, ho raccontato qualche anno fa”. Eletto presidente nel 1966, ma privo della maggioranza dei due terzi necessaria in parlamento per 1’approvazione di tutte le leggi di qualche importanza, Lleras e la sua amministrazione sembravano condannati ad un immobilismo ancor più totale di quello che aveva afflitto i precedenti governi eletti nel quadro del <<Fronte Nazionale», in cui Conservatori e Liberali condividevano le responsabilità e i privilegi del potere. Ma durante il primo anno del suo mandato Lleras diede cosi numerosi segni della sua determinazione a spingere in direzione di riforme socioeconomiche, che fu in grado di attirare voti dall’opposizione, la quale includeva un gruppo liberale di sinistra scissosi dal grosso del Partito Liberale negli anni Cinquanta. Nell’agosto 1967 questo gruppo fini col rientrare nel partito, mettendo con ciò l'amministrazione in grado di disporre della necessaria maggioranza dei due terzi. Commentando questi sviluppi in un discorso televisivo, Lleras esclamo:

[V’era chi] si compiaceva di prevedere difficoltà, chi era certo che non saremmo mai stati capaci di risolvere i nostri problemi [...] [Costoro dicevano che] siccome non avevamo la maggioranza dei due terzi, 1’intera vita del paese era minacciata, e il futuro era oscuro. Come se non esistesse l’arte della politica. Come se tutte le situazioni fossero immutahili Come se non vi fosse nessuna possibilità di raggiungere accordi.’ La verità é che tutte queste predizioni sono risultate completamente vane; di fatto, gia prima che venisse sancita la riunificazione liberale, e prima che fosse assicurata la maggioranza dei due terzi, erano state approvate parecchie leggi importanti’.

Ecco un leader che eccelle nel percepire le opportunità, esercita con grande piacere le sue speciali facoltà percettive, agisce vittoriosamente sulla base di ciò che percepisce, e rafforza cosi facendo i suoi titoli alla leadership.

Attraverso il nostro approccio indiretto — cominciare con l'individuare alcuni atteggiamenti e percezioni «medi», e poi definire la leadership in termini di deviazione dalla norma — ci siamo in effetti imbattuti in due componenti contrastanti della leadership: da un lato l’ abilita, dall’altro il carisma. L’abilità esige una capacita di percepire il mutamento più forte della media, mentre il carisma poggia in parte su un rifiuto di percepire il mutamento più forte della media. I requisiti di carisma e di abilita della leadership fanno dunque spesso a pugni tra loro, e i leader più efficaci sono verosimilmente quelli che riescono in un modo o nell’altro ad accoglierli entrambi. Con la sua straordinaria facolta di muovere uomini all’ azione e, con «l’infinita fertilità della sua immaginazione tattica»‘, Lenin costituisce un esempio particolarmente affascinante.

Ma una miscela cosi equilibrata di carisma e di abilita è estremamente rara. Di solito, ciascun leader sarà più dotato sul lato del carisma o su quello dell’abilità, proprio perché queste due qualità sono in parte basate su deviazioni dalla norma di segno opposto. Una volta ogni tanto, accade d’incontrare una «divisione del lavoro>> tra leader che operano — nel quadro di un’intesa informale — per uno scopo comune, come nel notevole caso del carismatico Garibaldi e dell’abile Cavour. Di nuovo, una combinazione del genere si presenta pero raramente.”

Naturalmente è difficile valutare la leadership quando si è immersi nel flusso del cambiamento, però il pensiero di Hirschman contiene il germe per valutare le cose in maniera meno semplicistica. Gran parte del lavoro di questo autore è legata al concetto di “declino” e sulla difficoltà di attivare e guidare le riforme, l'aver lungamente lavorato in paesi in via di sviluppo aveva affinato la sua capacità di vedere le possibilità laddove altri vedevano i “fallimenti”. Credo il suo insegnamento sia importante per valutare con un “bias for hope” la difficile situazione europea ed italiana.

 

PS Chi volesse giudicare i leader europei più forti alla luce di queste considerazioni è ovviamente autorizzato a farlo :)

 

1http://www.treccani.it/enciclopedia/bias_(Enciclopedia-della-Scienza-e-della-Tecnica)/

2“Sottosviluppo, ostacoli alla percezione del cambiamento e leadership” in Albert O. Hirschman “Come far passare le riforme” ed. Il Mulino, 1990 pag 239. Ho eliminato le note che appesantivano il testo

3Malgrado la pochezza del mercato editoriale che non l'ha più pubblicata, a giorni mi dovrebbe arrivare. Albert O.Hirschman “Le retoriche dell'intransigenza” , Arrivato e letto di un fiato

4Per omogeneità di ragionamento, dovuta al mio debito con Hirschman, posso citare un articolo sul mio blog sulla distinzione tra destra e sinistra https://www.rosariopaone.it/?q=node/11

5Quest'ultima affermazione va presa come non dimostrata dal ragionamento qui svolto. Per un chiarimento si può leggere Albert O. Hirschman “Felicità privata e felicità pubblica” ed. Il Mulino, 2013, 3 ed.   

 

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