Sui beni comuni, una prima ricognizione: la prospettiva economica

Un amico mi ha inserito in un gruppo facebook che vuole lavorare sul tema dei beni comuni in collegamento con l'esperienza della sindacatura Accorinti a Messina che ha istituito un Assessorato per la gestione dei beni comuni. Ho pensato potesse essere utile fare una ricognizione del tema dal punto di vista economico, non per l'amico che mi ha aggiunto che ne sa più di me, ne per l'Assessore, altro amico, che economia e diritto insegna, ma più in generale per chi dell'economia ha un'idea vaga. Sino a qualche decennio fa l'economia divideva i beni in pubblici e privati, vedremo che questo è cambiato anche se in Bocconi non ne hanno notizia (va be lo sanno, ma una battutina ogni tanto verso i sapienti... smiley ).

I beni pubblici puri si distinguono per due caratteristiche: la non escludibilità e la non rivalità

La non escludibilità consiste nel fatto che è impossibile, o difficile, impedire che qualcuno possa usufruire del bene. Esempio: un faro per la navigazione, una volta costruito come impedisco a qualcuno di passare ed utilizzare la sua luce? Forse posso farlo inviando delle motovedette, ma il costo dell'escludibilità è eccessivo. Stesso discorso per l'illuminazione pubblica.

La non rivalità consiste nel fatto che un utente in più del bene comporta un costo minimo o nullo. Una volta che il faro sia stato costruito o passano 10 navi o 11 il costo del faro non varia.

L'esempio che si fa di bene pubblico puro è la difesa nazionale, difendere un paese di un milione di abitanti o di un milione più uno (o venti milioni) il costo non varia e come escludere qualcuno?: se un nemico bombarda Messina come possono i nostri caccia difendere casa di Tizio, ma non di Caio?

Ovviamente esistono beni che hanno una caratteristica, ma non l'altra. Ad es. non escludibilità, ma costo marginale alto oppure escludibilità, ma costo marginale nullo.

Ad es. la protezione dagli incendi, il lavoro dei vigili del fuoco può essere selettivo, difendere la casa di Tizio, ma non quella di Caio, ma visto che per la maggior parte del tempo i vigili stanno in attesa di intervenire, aggiungere la protezione di Caio ha un costo basso (escludibilità, ma costo marginale basso)

Oppure una strada affollata, il costo per un auto in più può essere alto (perdite di tempo, incidenti), ma come escluderne l'uso? Far pagare un pedaggio potrebbe avere un costo maggiore del costo marginale.

Come si vede le situazioni sono le più diverse, ma il fatto fondamentale è che l'esistenza di beni pubblici pone un problema di efficienza.

Ad esempio: la televisione, posso sicuramente escludere qualcuno dalla visione di una trasmissione, ad esempio criptando il segnale, ma l'escludibilità è costosa ed invece la visione del programma da parte di un utente aggiuntivo non sottrae niente agli altri utenti. Un caso di escludibilità costosa e non rivalità. Ovviamente se privatizzo il programma avrò il risultato, cercando il produttore un profitto che può provenire dalla escludibilità, di un sottoconsumo, ovvero il bene sarà consumato in misura minore rispetto al suo costo marginale. D'altronde se lascio la trasmissione libera avrò meno trasmissioni, nessuno sarà incentivato a produrre trasmissioni, ovvero avrò un caso di offerta insufficiente

Questi i maggiori problemi per i beni pubblici che in genere vengono offerti dallo stato in cambio di canoni con l'aggiunta di contributi sulla fiscalità generale (su questa composizione non dirò niente ora, ma è una questione importante e complessa).

Badate che per l'economia il tema dei diritti o di beni che devono essere disponibili per tutti non si pone, ad esempio l'istruzione è un bene privato, anche se può essere opportuno sia gestito dal pubblico, ma poiché esso è escludibile e rivale è privato anche se è ammesso un interesse pubblico per il tema delle esternalità e, pertanto, per l'economia può essere vista come un bene pubblico misto, anche di questo non dirò nulla, malgrado non sarebbe male spendere qualche parola. Qualcuno ha sostenuto che il fallimento del mercato nel caso dei beni pubblici nasce dalla mancata legalizzazione dei diritti di proprietà. Questa questione ha a che fare con la ben nota teoria della tragedia dei beni comuni. Tesi avanzata, da ultimo, dal biologo Hardin, nel 1968 su Science, che sostiene che quando non ci sono proprietari di una cosa, tutti ne usufruiscono, sfruttandola al massimo per la propria utilità, scaricando i costi (esternalità negativa)sulla collettività. Un esempio sono gli oceani e la pesca al tonno, piuttosto che alla balena. Pescherò il massimo possibile e scaricherò l'impoverimento della fauna sulla collettività. Altro esempio è il fumo, fumando io mi procuro un piacere, utile personale, ma scarico il costo delle mie cure per l'enfisema sul sistema sanitario pagato da tutti, oppure se fumo in un locale danneggio gli altri non fumatori. Naturalmente si può proibire il comportamento dannoso, ma il costo di controllo e proibizione può superare il costo del danno. Oltre al fatto che il proibizionismo ha la fastidiosa tendenza ad essere inefficiente. Si badi che l'interesse di Hardin, biologo, era ambientalista e la sua soluzione era la “coercizione”, ovvero il controllo statale e la proibizione legale dei comportamenti dannosi Un'altra soluzione proposta è far si che ogni cosa appartenga a qualcuno, ad esempio l'aria. Facciamo l'esempio di una stanza affollata . L'aria nella stanza è un bene pubblico: tutti respiriamo la stessa aria. Se fumo danneggio gli altri, non tengo conto dell'esternalità. Però se l'aria della stanza appartenesse a qualcuno questi farebbe una sorta di asta, chiedendo a chi vuole fumare quanto è disposto a pagare per poterlo fare e così a chi non vuole, il risultato sarebbe che chi paga di più vince ed il risultato sarebbe efficiente, in senso economico ovvero Pareto/efficiente (ne riparleremo). Ad esempio si disincentiva il fumo per le esternalità sia vietandolo in qualche luogo, che aumentando il prezzo delle sigarette. Se facessimo pagare dei diritti di pesca molto alti, avremmo meno baleniere, ma anche meno pesce sul mercato. La questione è complessa ed ha dato l'avvio ad un dibattito complesso ed affascinante. Alla fine c'era la questione se fosse più efficiente una gestione centralistica statale o una gestione decentrata di mercato. Chi gestisce meglio i beni: lo Stato o il Mercato? Per cui i beni o sono pubblici, ovvero statali, o sono privati, ovvero del mercato. Nel 2009, proprio partendo dall'analisi di Hardin, il premio Nobel per l'economia Elinor O strom, deceduta nel 2012, ha dato un'altra prospettiva, ha definito un altro tipo di bene nè pubblico nè privato: il bene comune Il bene comune non è pubblico poiché non è gestito dallo stato, nè è privato perchè è gestito in comune e non ha un singolo proprietario e gli stessi diritti di proprietà sono sfumati.

La Ostrom partendo dallo studio di molti casi e dalla teoria dei giochi, ripetuti più volte (di questo conto di parlare in un altro scritto), ha elencato molti casi in cui sia la gestione statale sia quella privata sono state fallimentari e molti casi in cui una gestione “comunitaria” è stata un successo. Ella ha identificato alcune caratteristiche istituzionali per la gestione dei beni comuni tra gli altri:

  1. la partecipazione diretta degli utilizzatori al monitoraggio;

  2. la gradualità delle sanzioni ai trasgressori;

  3. la comunicazione faccia a faccia;

  4. la possibilità di escludere gli estranei;

  5. l’assenza di cambiamenti tecnici o sociali accelerati.

Il dibattito è stato vivace e molto ricco, anche se poco presente nei testi di economia, molto presente invece nel diritto e nella filosofia. In economia si è intrecciato alla critica dell'utilitarismo, ai fondamenti dell'economia neoclassica e, naturalmente, alla teoria dei giochi.

Chi s'imbarca nell'esame di questa questione sappia che si sta avventurando ai confini della ricerca delle scienze sociali. In Italia i contributi maggiori vengono da due giuristi: Ugo Mattei e Stefano Rodotà. Le loro analisi in parte, forse grande, divergono, ma hanno alimentato una discussione che mi auguro si sviluppi.

Per quanto mi riguarda dichiaro la mia vicinanza, non solo in questo a Stefano Rodotà (http://www.acquabenecomune.org/raccoltafirme/index.php?option=com_content&view=article&id=1293:il-valore-dei-beni-comuni-di-stefano-rodota&catid=137), e molto meno alle tesi di Ugo Mattei (http://www.ilcambiamento.it/recensioni/recensione_beni_comuni_manifesto.html).

La discussione è comunque aperta..http://temi.repubblica.it/micromega-online/una-nuova-commissione-rodota-per-i-beni-comuni/