RAZZISTI SI NASCE

RAZZISTI SI NASCE

Nelle discussioni di oggi sul tema del giorno compare una disinvoltura nell’uso del termine “razzismo”. L’esperienza del nazismo l’ha reso un termine equivoco e, in realtà, il termine è equivoco nell’uso comune, nasce dal positivismo catalogatorio dell’ ‘800, ma è fenomeno assai più arcaico. In realtà razzisti si nasce. Nel nostro patrimonio filogenetico c’è inserita la paura per il “diverso”, l’ ”insolito”, il “non comune”. E’ un principio adattativo basilare, ciò che è noto può essere pericoloso o meno, ma è noto, perciò se pericoloso mi difendo o fuggo, altrimenti mi comporto di conseguenza. Ma con ciò che è nuovo? Con cose che non ho visto prima? Ebbene un principio di precauzione m’induce a sospettare, a pensare che sia pericoloso. Avete presente quando un gruppo di soldati avanza nella foresta, uno, il più esperto, ordina lo stop e chiede se sentono, il più ingenuo dice “è tutto tranquillo” ed il più esperto “appunto, non è normale”? Di lì a poco spunteranno i nemici. In guerra ed a caccia l’insolito è più interessante del “normale”. Una tecnica di hacking, secondo alcuni la più importante, è il social engineering, detto in parole semplice consiste nel farsi dare informazione dal proprietario delle informazioni, utilizzando trucchi psicologici. La base è inserire la richiesta, insolita, in un contesto usuale, normale, routinario e convincere l’interlocutore che ti conosce ed è normale che tu gli chieda quello. Ad esempio se telefono ad un call center per ottenere qualcosa che non dovrei ottenere e per farlo mi fingo un collega di un altro ufficio metterò di sottofondo dei rumori che ricordano quell’ufficio, chessò macchine da scrivere o un chiacchiericcio di sottofondo se fingo di lavorare in un call center, il rumore di sottofondo “conferma” la mia identità e l’attaccar bottone comunicando che sono in difficoltà perché il mio capo vuole faccia una cosa, ma io ho dimenticato un’informazione ed il capo mi leva la pelle di dosso se non la faccio in fretta, ottiene la solidarietà del collega, chi non ha un capo stronzo?, se poi gli chiedo di mandarmi l’informazione ad una casella di posta che imita alla perfezione quelle ufficiali il gioco è fatto. Vabbè credo si sia capito: in una situazione nota e normale la nostra sospettosità si placa, viceversa in un caso insolito. Chissà a quanti di voi è capitato di ricevere telefonate dall’Enel e di scoprire poi che non era affatto la vostra solita fornitrice a parlare, ma una concorrente con un nome molto simile? Se si fosse presentata con un nome dissimile avreste troncato subito la telefonata, ma il fatto di parlare con chi conoscete ci induce a dare fiducia. Potrei continuare per un bel pezzo, ma è chiaro che istintivamente ognuno di noi nel vedere un uomo nero ha un atteggiamento di allarme, spesso i bambini piccoli piangono alla prima vista di un uomo nero, viceversa all’asilo non se ne accorgono nemmeno perché inseriti in un contesto “normale” e perché lì nero è un bambino come lui. La questione sei diverso fisicamente perciò lo sei anche culturalmente e psicologicamente è una componente non trascurabile della diffidenza verso chi ha deformità fisiche, per i greci era indizio dello sfavore degli dei ed ancora per i siciliani i rossi di capelli sono malvagi per natura. Viceversa capire che chi è diverso fisicamente può essere uguale psicologicamente o culturalmente o che la diversità è un vantaggio anziché un pericolo è un’acquisizione recente, perciò più labile, si confronti la splendida pagina del racconto Sentinella di Frederic Brown (credo sia nota a tutti, la si legge in molte antologie per la scuola media, ma chi non l’avesse letta lo faccia, è più breve e chiara di questo post http://www.coris.uniroma1.it/s…/default/files/sentinella.pdf) Vabbè la chiudo, dicendo che questo non vuole affatto dimostrare che non esistano conflitti culturali e diversità irrisolvibili o che ciò che è diverso sia per questo buono e positivo, affatto la diffidenza verso il diverso ha una sua validità ancora oggi, come testimonia la novella Rosso Malpelo di Verga, né si vuole dimostrare che l’identità è un disvalore, è utile oggi come ieri raggrupparci in tribù di simili, ma più semplicemente dimostrare che le identità di ognuno di noi sono molteplici e che i ragionamenti irriflessi sono potenti, ma non sempre corretti talvolta di sera cambiare strada se s’incrocia un uomo nero e proseguire se davanti a noi c’è un bianco “normale” può esporre a brutte sorprese. Inoltre far leva sull’istintuale diffidenza verso il “diverso” è un potente strumento per chi vuole farci credere di essere come noi, nel passato si sono inventati molti "diversi" pericolosi per poi scoprire che la fregatura ce la portavano i “nostri”.