Delle retoriche intransigenti

PREMESSA

 

sono fideisticamente convinto che nessuno possieda la Verità, perciò quando discuto con qualcuno cerco di trovare nelle sue argomentazioni le “sue” ragioni da contrapporre alle “mie”. Da ciò deriva che non penso che la discussione serva a “convincere”, tanto meno “vincere”. Il conflitto di idee ed opinoni è ineludibile. La discussione serve ad “avvicinare” i lontani ed a confermare o rifutare la mia opinione. Spesso da una discussione traggo occasionali motivi di riflessione personale e, talvolta, persino “prove” di aver avuto, o di avere, opinioni sbagliate. Oggi però questo spirito è messo in serio pericolo, nel 1991 H. aveva trovato tre argomentazioni della retorica reazionaria e tre di quella progressista che impedivano la discussione nel senso in cui la intende lui, ed incidentalmente io. Oggi penso di poter fare una glossa al suo bel libro. Credo infatti oggi si confrontino due retoriche dell’intransigenza antitetiche, ma speculari. Ambedue le retoriche rendono superflua la discussione.

 

LA PRIMA RETORICA: LA TECNICA

 

Queste argomentazioni partono dal presupposto che ogni opinione o scelta possa essere sottoposta al vaglio della SCIENZA per essere accettata o refutata. In questo senso di economia parlino gli economisti, di medicina i medici, di scuola i pedagogisti… Se si sconfina, prima o poi, si arriverà al metodo Burioni (La scienza non è democratica). Burioni ha il merito, oltre alla campagna divulgativa sui vaccini, di aver “rivelato” questa posizione. Naturalmente questa posizione rende superflua la discussione perché un’ ipotesi o è “scientificamente” vera o è “scientificamente” falsa. Esulano dalla posizione ogni sfumature su “cosa sia scienza?” e, persino, sul dibattito tecnico interno alle scienze. In genere se vengono fuori questioni metodologiche o epistemologiche verrà fuori la frase, attribuita a Richard Feynman, mi dicono sia apocrifa, “I fisici hanno bisogno dell’epistemologia quanto gli uccelli dell’ornitologia”

 

LA SECONDA RETORICA: UNO VALE UNO

 

La seconda retorica nasce dall’idea che le opinioni siano tutte equivalenti. “Tu la pensi così, ma io la penso diversamente”, diventa una sorta di “sperimentalismo empirico”, un “pragmatismo sperimentale”. In genere l’argomentazione di chi è afflitto da questa retorica si rivela partendo dal dire che la propria opinione non è scientifica, è di puro buon senso e nasce dall’osservazione della realtà. Ci si contrappone al “tecnico”, sostenendo l’inutilità della teoria rispetto alla prassi e s’invita a provare ciò che si sostiene e caso mai dopo verificare se fosse sbagliato. Spesso appare l’argomentazione che nessuno è in possesso della Verità, talvolta ironicamente osservando che si invidia chi vive di certezze… Insomma si ricerca autorevolezza alla propria opinione appellandosi al senso comune. Anche in questo caso la discussione è inutile: se tutte le opinioni sono equivalenti perché discutere? L’unica cosa sensata è sperimentare quello che si afferma e vedere cosa accadrà per, poi, caso mai, correggere.

 

UN PUNTO IN COMUNE: L’INTRANSIGENZA

 

Ambedue le posizioni arrivano ad una conclusione comune: la discussione è inutile. Può essere al massimo un esercizio di “democrazia” per convincere l’interlocutore, o anche per “vincere” cioè “convincere” chi segue la discussione. Naturalmente ambedue le posizioni sono ideologiche: nessuno scienziato non ha opinioni e nessun cittadino è completamente ignorante. La scienza serve come “copertura” ideologica alla propria opinione, esattamente come l’appellarsi alla saggezza del popolo. Insomma lo scienziato se esce dal laboratorio diviene un “cittadino” ed un cittadino se esprime pubblicamente un’opinione diventa uno “scienziato”. E’ il motivo per cui Hannah Arendt, così accontento un amico preoccupato della mia mancata citazione in un post :), escludeva la possibilità di un “educazione per gli adulti”. Lo spazio pubblico non è, e non deve essere, lo spazio privato. Quando parlo di scuola, fuori dalla scuola, esprimo un’opinione come cittadino non come docente, ma, ovviamente, quando parlo di scuola, fuori dalla scuola, sono un cittadino “informato”, ma la mia opinione va discussa per quello che dice, non per chi lo dice, né in senso negativo né in senso positivo.

La mia domanda è: Perchè sono nate e si sono diffuse queste due retoriche (nel senso in cui usa il termine Hirschman)?

 

CONCLUSIONI PROVVISORIE

 

Credo siano nate perché ambedue le retoriche “depoliticizzano” le questioni. Apparentemente riducono e risolvono il conflitto. In un caso con un “Ho ragione io perché studio queste cose da molto”, nell’altro “Abbiamo ragione tutti, perciò proviamo a fare come dico io, tanto una cosa vale l’altra. Poi magari, se ci accorgiamo di avere sbagliato, facciamo come dici tu”. In un caso e nell’altro si trascura che il conflitto è ineliminabile, che la mia verità è parziale, in molti sensi, ma soprattutto nel senso che è una verità di parte. Ma solo se partiamo dal presupposto che le nostre verità sono di “parte” cioè esprimono interessi legittimi, ma non totali, possiamo rispettare le altre “parti”, ma anche evidenziare gli interessi, legittimi, che sono dietro le “parti” degli altri. A cosa può servire questo post? Temo a poco visto che è provvisorio, ma mi fa piacere concludere con due citazioni da HirschmanLe retoriche dell’intransigenza” e, se siete arrivati sino a qui me lo perdonerete.

“Volendo demolire le due contrapposte scuole filosofiche che asseriscono la realtà esclusiva rispettivamente dello spirito e della materia, Flaubert ebbe una volta un’uscita meravigliosa: queste affermazioni <disse> sono <<due impertinenze identiche>>”

Per passare dal discorso tradizionale, improntato all’intransigenza ed alla distruttività, ad un tipo di dialogo più democracy-friendly, resta da compiere un cammino lungo e difficile. E a quanti desiderano intraprenderlodovrrebbe riuscire utile la conoscenza di alcuni segnali di pericolo, come sono appunto quegli argomenti che sono in realtà espressamente congegnati per rendere il dialogo e la deliberazione impossibili”