Un rapporto del Prof.Giarda sulla spesa pubblica italiana e la discussione sull'istruzione

Nel 2012 pubblicavo sul blog della commissione scuola del PD di Messina, ed ora ripubblico qui

Inviato da rosario il Mer, 04/11/2012 - 11:21

E' di questi giorni la notizia dell'esistenza di un rapporto sulla cosiddetta “spending review” ad opera del Ministro Piero Giarda ( prelevabile qui www.tesoro.it/documenti/open.asp?idd=28983 il link è ora inattivo, potete vedere il rapporto che cito qui). Il rapporto è il risultato dell'analisi del Gruppo di lavoro sul“bilancio e patrimonio pubblico” coordinato dal Prof.Giarda.Pur nella sua stringatezza e complessità, costituisce una lettura illuminante e chiara, imprescindibile per chiunque voglia occuparsi di politica e, ancor più, per chi aspiri al governo del paese. Einaudi affermava essere necessario “conoscere per deliberare” e il monito è ancor più importante in tempi in cui la politica va avanti per slogan e mistificazioni. E',però, necessaria una premessa, questo rapporto mostra con chiarezza la mala fede o l'ignoranza di coloro che contestano il governo Monti per essere intervenuto troppo dal lato delle tasse e poco da quello della riduzione della spesa pubblica, poiché mostra che, se è necessario ed urgente correggere la crescita della spesa, per farlo occorre rimodulare la governance del Sistema paese, cioè è necessario ripensare in profondità chi decide dove, come e quanto spendere. Il tema dei livelli di governo di spesa tra amministrazione centrale e locali è centrale e riguarda non solo i processi attivati dal “federalismo”, ma viene da molto più lontano. E' difficile pensare che un governo come questo, con una maggioranza “strana”, a dir poco, possa intervenire così in profondità. Però almeno l'opera del ministro smaschera tanta “falsa coscienza”. Dopo aver raccomandato un'attenta lettura, proviamo a guardare qualche elemento che appare dal rapporto ad esempio la composizione della spesa dal 1980 al 2010 come da tabella sotto

 

Tabella n. 4 Composizione percentuale della spesa per consumi collettivi, e per funzione – dal 1980 al 2009.






 

1980

1990

2000

2009

Servizi generali

12,3%

12,9%

14,1%

13,8%

Difesa

7,1%

7,0%

5,9%

6,9%

Ordine pubblico e sicurezza

9,0%

9,7%

10,3%

8,7%

Affari economici

7,3%

6,8%

6,7%

6,7%

Protezione dell'ambiente

0,3%

0,8%

1,1%

1,4%

Abitazioni e assetto del territorio

2,3%

2,0%

2,3%

2,2%

Sanità

29,7%

29,6%

30,7%

33,8%

Attività ricreative, culturali e di culto

2,1%

2,1%

2,2%

2,2%

Istruzione

25,7%

25,1%

22,5%

20,0%

Protezione sociale

4,2%

4,0%

4,3%

4,3%

Totale consumi pubblici

100,0%

100,0%

100,0%

100,0%

 

Come si può vedere, dal 1980 ad oggi, diminuisce l'importanza della spesa in istruzione, università e scuola, ed aumenta la spesa sanitaria e dei servizi generali. La prima spiegazione è che questo riflette l'andamento demografico del paese, meno giovani e più anziani, ma questa spiegazione, da sola, non basta perchè comprende periodi in cui il calo demografico non si era ancora avvertito e riguarda periodi in cui la scolarità aumenta.

Diamo ancora la parola al gruppo del Ministro:

In sintesi, dall’esame della struttura della spesa per consumi pubblici nei due anni 1990 e 2008 si possono trarre le seguenti sintetiche considerazioni:

  1. mutamenti nel peso relativo dei diversi livelli di governo. Amministrazione centrale e enti previdenziali nel 1990 pesavano per il 46% nella fornitura dei consumi pubblici mentre le amministrazioni locali governavano il 54%. Dopo 18 anni, le quote relative del centro e della periferia si erano modificate al 37,6% per l’amministrazione centrale e enti previdenziali e al 62,4% per le amministrazioni locali.

  2. mutamenti nella composizione funzionale dei beni e servizi pubblici offerti alla collettività. La principale variazione è costituita dalla crescita del peso della spesa sanitaria dal 32,3% al 37,4% del totale e dalla corrispondente riduzione del peso della spesa per l’istruzione e ricerca dal 23,1% al 18,3% del totale. Si osserva anche una leggera crescita del peso dei servizi generali (dal 12,8 al 13,6%) e dei servizi di protezione sociale (dal 4,2 al 4,7%). Di rilievo la riduzione della quota dei servizi pubblici tradizionali (difesa, sicurezza pubblica e giustizia) che passa dal 15,7 al 14,1 % del totale. Le quote delle altre categorie di servizi pubblici presentano una sostanziale stabilità.

  3. la evidente concentrazione della crescita nelle funzioni svolte dalle amministrazioni locali Tutte le funzioni di spesa per le quali è prevalente il ruolo delle amministrazioni locali rispetto alla amministrazione centrale hanno aumentato il loro peso. Di converso, tutte le funzioni di spesa per le quali è prevalente il ruolo della amministrazione centrale hanno visto ridotto il loro peso. Fa eccezione a questa regola generale il solo settore degli interventi classificati sotto “affari economici”.”

 

Abbastanza chiaro? Sembra di si, ma come intervenire è meno chiaro, si tratta di una decisione politica e qui ci si divide. Il professor Giarda, quando stila questo rapporto non è ancora ministro, è tanto chiaro quanto rispettoso delle competenze politiche, offre elementi di valutazione e lascia al decisore politico le scelte, pur dicendo la sua e la dice tanto chiara che vale la pena lasciarlo parlare:

2.3 I caratteri istituzionali dell’offerta pubblica.

L’esperienza degli ultimi venti anni e in particolare il mutamento delle quote di sanità e istruzione nel mix dei consumi collettivi, avvenuto in un periodo di politica di restrizione sulla dinamica della spesa pubblica, merita qualche ulteriore riflessione. Si consideri anzitutto che il settore istruzione e ricerca comprende almeno due diversi comparti, l’istruzione fino alla scuola media superiore e l’istruzione universitaria. I due comparti originano da comparti dell’amministrazione pubblica assai diversi tra di loro nel senso che l’istruzione pubblica non universitaria ha come interprete dei bisogni organi dell’amministrazione dello stato e le organizzazioni sindacali, mentre l’istruzione universitaria ha come interpreti le università dotate di autonomia organizzativa e finanziaria e i suoi rettori che hanno forme autonome di espressione delle loro posizioni e esigenze. Il settore sanitario e la tutela della salute sono affidati alla responsabilità politica delle regioni, un livello di governo che risponde all’elettore e con forme di rappresentanza molto forti e rilevanti nei confronti del governo centrale.

I tre settori sono tutti, sia pure in misura diversa, dipendenti da finanziamenti a carico del bilancio dello stato e quindi soggetti che ricevono regole, direttive e risorse da decisioni assunte a seguito di un comune processo di bilancio. Le loro dimensioni relative, i tassi di crescita delle risorse allocate al loro finanziamento discendono tutte da decisioni del governo centrale e del Parlamento. Si è già ricordato però che le decisioni di spesa su questi tre settori non sono mai state precedute da una valutazione comparata dei benefici associati all’aumento o alla contrazione della spesa in un settore rispetto all’altro.

Si può argomentare che la crescita di ciascuno di loro è condizionata dalla struttura istituzionale dell’offerta. Dietro la sanità c’è la forza politica di un livello di governo che risponde, regione per regione, all’elettore. Dietro l’università ci sono strutture amministrative dotate di autonomia, dietro l’istruzione c’è solo un ministro con i suoi provveditori e i sindacati. La segmentazione istituzionale e il diverso peso politico dei portatori di interesse che ad essa si associa, rendono difficile le valutazioni comparate sul merito dei diversi settori che il Parlamento o il governo centrale dovrebbero effettuare. In verità è persino possibile che, in presenza di segmentazione istituzionale, questa valutazione non trovi mai una sede concreta in cui realizzarsi pur se la responsabilità formale è sempre quella del Parlamento (o del governo centrale).

Bisogna anche prendere atto che il federalismo fiscale all’italiana (che non consente a nessun ente decentrato, anche se collocato in un’area con reddito pro-capite maggiore del reddito medio nazionale di finanziare con risorse proprie i compiti che gli sono assegnati dalla legge), non aiuta nello svolgimento del compito, oggettivamente complesso, di valutare se, in prospettiva dinamica, la scuola pubblica debba crescere un po’ di più o un po’ di meno della sanità pubblica o dell’università. Tutto è sempre rimesso alle decisioni del bilancio statale e le necessarie valutazioni comparate sui settori dell’attività pubblica (quali devono crescere di più o di meno nel prossimo decennio) non sono agevolate dalla mancanza di autonomia finanziaria. Sarebbe forse preferibile che due beni pubblici fortemente influenzati dalla esigenza di parità di trattamento o di condizioni di accesso quali la sanità e la scuola e tra di loro complementari lungo la vita dell’individuo fossero affidati allo stesso livello di governo.

Nota: Ci sono state anche esperienze transitorie di affidamento di compiti complementari ad organismi esterni. Siveda al riguardo l’esperienza della Commissione Tecnica per la spesa pubblica, nel periodo dal 1982 al 2002 e della Commissione finanza pubblica, nel periodo dal 2006 al 2008.

Ho solo accennato ad alcuni dei temi affrontati in questo rapporto che, ripeto, va letto tutto e meditato, c'è tra le righe, ma forse lo leggo io, un atto d'accusa al sistema politico italiano che non può essere lasciato a Grillo, ma è chiaro che Tremonti-Gelmini mentivano quando dicevano che in Italia per l'istruzione si spende troppo, che i tagli lineari sono una iattura, che riforme a costo zero nell'istruzione e nella ricerca se ne son fatte troppe e che il calo demografico non c'entra, troppo, con i tagli alle risorse del sistema istruzione, è stata una scelta, non si sa bene fatta da chi, quando, come e perchè (o meglio si sa) di dirottare risorse da un settore ad un altro. La discussione su cosa spendere, quando, come e perchè è aperta, ma ora con qualche dato di verità in più.