Di che parliamo quando parliamo di economia

In tempi di crisi l'economia è sulla bocca di tutti. Non c'è talk show o programma di approfondimento che non ospiti uno o più economisti che ci spiegano il perchè avviene ciò che avviene e come evitare che avvenga. Ma cos'è l'economia? Intuitivamente tutti riteniamo di saperlo, ma poi l'ingenua domanda della Regina Elisabetta II agli economisti “Perchè nessuno ha previsto la crisi?” ci costringe a riflettere su questa disciplina e sul suo oggetto. In realtà non è semplice poiche questa disciplina ed il suo oggetto, sin dalla nascita, hanno,almeno, due definizioni possibili. Possiamo dire che l'economia, intesa in senso moderno, nasce tra il '600 ed il '700, in conseguenza delle trasformazioni sociali di quei secoli: uno sviluppo dei processi industriali, scambi più articolati e ricchi interni ai singoli paesi e tra nazioni. Naturalmente avevamo avuto anche in precedenza, classico il riferimento ad Aristotele o a Senofonte, ma, pur interessanti, l'economia così come, più o meno, la intendiamo oggi nasce con la nascita dello stato-nazione e nasce come parte dell'arte del governo, consigli al sovrano su come aumentare la ricchezza del suo regno. Ma non voglio qui provare ad indagare su quando e ad opera di chi sia nata l'economia politica, anche perchè è questione non semplice. Piuttosto vorrei darne una definizione, ovvero rispondere alla domanda: Cos'è l'economia? La prima risposta è che l'economia è una disciplina, preferisco questo termine, più sfumato, alla parola scienza che mi costringerebbe a definire cosa sia una scienza con una regressione all'infinito. Una disciplina, una parte del pensiero umano, quindi, ma di cosa si occupa? Qui nasce il problema, perchè, sin dalle sue origini, sono state date, almeno due risposte diverse. Una prima, non in senso cronologico, definizione dell'economia potrebbe essere: l'economia è quella disciplina che si occupa di come l'uomo si organizza per procurarsi il necessario per vivere ed anche il superfluo. Ovviamente in questo caso forte è il rapporto con le scienze sociali e con la storia. Questa definizione trova origine nell'empirismo inglese, per la verità in gran parte scozzese, e nel lavoro di alcuni filosofi morali. Il più importante è colui il quale viene ritenuto il fondatore dell'economia politica moderna: Adam Smith. In questa accezione l'economia è interessata ai rapporti tra gli uomini, all'organizzazione del lavoro, alla distribuzione della ricchezza. Questa concezione normalmente definita “classica” ha i suoi grandi rappresentanti in Smith-Ricardo-Marx. Questi autori condividono l'idea che il valore sia prodotto dal lavoro, che la produzione sia circolare, parta da risorse che vengono lavorate (trasformate) per condurre a maggiori risorse e reiniziare il processo. Si può vedere che in questo senso l'economia sia buona parte di quello che chiamiamo vita umana, l'attività di procurarsi il necessario per vivere assorbe gran parte delle nostre energie, anche se non tutte, per Aristotele la filosofia nasceva dove finiva l'economia, in questo senso intesa. Ma questa definizione non è l'unica. Un altra potrebbe essere: l'economia è quella disciplina che studia il modo efficiente di organizzare risorse scarse. L'attenzione è alla parola efficiente, che in parole semplice si può tradurre come massimo, date risorse non infinite come posso trarne il massimo. Un problema di organizzazione, e non sorprenderà scoprire che i maggiori esponenti di questa concezione siano ingegneri e che il modello iniziale sia tratto da un'analogia con la meccanica. Questa concezione trova la sua origine nel razionalismo e, poi, nell'illuminismo francese, ma i suoi maggiori esponenti sono autore della seconda metà dell'800: Walras e Pareto. Per questa concezione economica il ciclo produttivo è lineare: dalle risorse scarse alla loro ottimizzazione, ovvero produzione/distribuzione della massima quantità possibile. L'attenzione è posta sul tema dell'equilibrio, ovvero sull'idea che le diverse componenti della produzione devono trovare un punto in cui si armonizzano ed incontrano. Il valore non è dato dal lavoro, che è una merce scarsa come le altre, ma dalla legge della domanda e dell'offerta. Essendo un problema di ottimizzazione di risorse, la storia non ci dice nulla ed essendo la produzione un processo lineare, con un inizio ed una fine, le vicende sono atemporali, possono essere considerate come se si svolgessero istantaneamente. I problemi di equilibrio si risolvono mediante calcoli e la matematica viene utilizzata in maniera massiccia. Un carattere particolare, non sempre colto di questa concezione dell'economia, è che essa ha un carattere normativo molto sviluppato, ovvero non descrive tanto o solo come il processo economico concretamente si svolge, ma come dovrebbe svolgersi per essere perfetto. Quest'aspetto, la confusione tra aspetto descrittivo e normativo, è origine di qualche fraintendimento, anche comico. La regina non poteva capire che gli economisti non potevano prevedere la crisi, perchè, nei loro modelli, le crisi non esistono http://www.sbilanciamoci.info/Archivio/teoria-e-critica-economica/Economisti-in-crisi.-Lettera-alla-Regina-2874. I modelli sono perfetti e le equazioni quadrano, se la realtà è imperfetta, è la realtà a doversi adeguare. La disoccupazione non esiste, se esiste è perchè non si permette ai salari di “scendere” fino al punto di equilibrio, magari perchè leggi “assurde” o sindacati non lo permettono. Questa è l'economia neoclassica, quella che viene, talvolta, denominata mainstream (flusso principale), almeno nell'interpretazione di rigidi e, spesso, bocconiani, professori che non si rendono conto della comicità implicita in alcune dichiarazioni. Non si deve però fare l'errore di pensare che quegli effetti comici sopra riportati siano il vero portato di questa disciplina, in realtà i maggiori economisti di questa corrente si sono, negli ultimi 30 anni, occupati più dei “fallimenti dei mercati” che dei suoi successi. Sanno benissimo che il modello ideale è un modello ideale ed hanno esaminato anche la realtà. Autori come Schumpeter hanno considerato le crisi ed il ciclo economico e autori classici e neoclassici hanno dibattuto in maniera feconda, ad esempio Sraffa e Samuelson, autori come Keynes si sono allontanati dalle due correnti principali, rivendicando però il carattere di scienza sociale dell'economia. Si tratta di essere consapevoli dei limiti delle teorie economiche, bellissime pagine sono state scritte da Keynes, e di considerarle per quello che sono: un tentativo, nobile, di descrivere qualcosa di terribilmente complicato  

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