Sulla meritocrazia sesta parte

Premessa: questa parte contiene delle traduzioni dall'inglese, poichè non son così sicuro del mio inglese, sarò grato a chiunque volese segnalare errori 
Qualcosa non torna.. Come fa un uomo della finanza a parlarmi di merito? Oggi quando la finanza ha trascinato il mondo in una crisi che ancora paghiamo? Poi possiamo dire che gli uomini McKinsey nella crisi ci navigano benissimo sono altri a pagare il conto? Sono di derivazione Mckinsey molti top manager con stipendi da 10 mln di euro l’anno, peccato che le loro banche ed i loro azionisti ci facciano stare con il fiato sospeso in attesa di sapere se dovremo uscire i nostri soldini per salvare i loro profitti.
Il professore Alesina è così conosciuto su wikipedia1. A parte la precognizione sul Nobel futuro che sinceramente gli auguriamo, per l’onestà intellettuale, leggo:
“Ha di recente scritto, assieme ad Andrea Ichino, un articolo che ha fatto scalpore per la propria proposta (Gender Based Taxation) di tassare le donne in modo minore rispetto agli uomini. Questo provvedimento non avrebbe costi sulle casse dello stato e dovrebbe - secondo gli autori - contribuire al raggiungimento delle pari opportunità tra uomo e donna.”
 
Ricordate cosa scriveva Lasch sul femminismo? Anche lui università prestigiose e carriera internazionale, anche lui economista. Comunque è indubbiamente più simpatico di altri ed almeno lui i libri li legge e, talvolta li capisce, ma anche per lui: Le sembra professore che l’ambiente economico-finanziario (manager ed analisti) abbiano qualcosa da insegnare a qualcuno?
A lei e a Giavazzi vorrei infine chiedere: se doveste andare da un medico preferireste trovare un medico che fa questo lavoro anche perché gli piace o uno che lo fa per il “differenziale economico”? Non bastano gli scandali di medici che operavano inutilmente per lucro? O che impiantavano protesi dannose per tangenti? E questa la società che volete?
Il fatto è che, anche semplicemente in area economica, la distinzione tra “ugualitaristi” e “disegualitari” è basata su presupposti non verificabili empiricamente. Intendo dire che, malgrado la suggestione “banale” dei pamphlet qui esaminati2 dietro vi è un pensiero, se non propriamente filosofico, almeno ideologico. Sia Abravanel che Giavazzi ed Alesina, mentre svolgono ragionamenti di, apparente, puro buon senso, alludono in realtà a temi come quello della giustizia o come quello della “migliore società”3. In effetti se la meritocrazia non producesse una società migliore o più giusta perché dovremmo perseguirla come obiettivo , ma anche come valore? Cominciamo con l’assunto che una società “ineguale” sia più efficiente. Il problema è più efficiente in cosa? Ovviamente, data la provenienza culturale dei nostri, il criterio è quello produttivo ovvero “una società in cui il merito è apprezzato produrrà di più e meglio, crescerà maggiormente ”. Ma è davvero così? E questo ha a che fare con i “differenziali salariali”? Ovvero è possibile costruire una società “meritocratica”, ma non diseguale? Con qualche distinguo gli autori considerati rispondono: No. L’incentivo all’impegno è il denaro, se non guadagno di più non mi impegno.
C’è un altro elemento che trovo fastidioso nel libro di Giavazzi ed Alesina: l’abitudine a dare per “scientificamente “ accertate conclusioni che invece sono sostenibili, ma opinabili.
Perché scrivere un libro come questo? Qual è il valore scientifico o culturale di un libro come il “Liberismo è di sinistra? E’ un pamphlet, uno scritto occasionale? Forse ho trovato la risposta nel blog del prof. Lorenzo Sacconi4: “Di tanto in tanto un certo spazio sarà dato allo “sciocchezzaio neo-liberista”,  con il quale oggi cominciamo. Gli autori preferiti a tale proposito sono – non me ne vogliano – due ottimi economisti italiani, Francesco Giavazzi e  Alberto Alesina (il primo tra i migliori della Bocconi, il secondo – che conosco dai tempi del liceo –  addirittura ha avuto successo nella mitica Harvard) che assieme sono autori di due pamphlet Il liberismo è di sinistra (2007) e La crisi (2008) – uno  all’anno, come Vespa!”…” Vi domanderete come sia possibile che autori di questa levatura (nient’affatto  sciocchi) siano protagonisti di uno “sciocchezzaio”. E’ semplice. Loro hanno un programma ideologico da sostenere, quello del laissez faire come ricetta per ogni problema dell’Italia. Come le vestali di un dogma religioso (mercato,  concorrenza,  e “valore per gli azionisti” sopra ogni cosa)  non usano argomenti scientifici, la loro tecnica argomentativa è retorica: raccogliere fior da fiore  esempi  a favore del dogma centrale, non curarsi affatto dei contro-esempi, delle falsificazioni o incongruenze tra un caso e l’altro.  Se l’intenzione è ideologica – il che è legittimo per un  partito, meno ovvio per due accademici –  allora è consentito  approfittare (a fin di bene, si capisce) delle debolezze cognitive del gregge che si vuole portare  sulla retta via. Insomma gli sciocchi, direi (secondo loro)  sono i lettori,  e agli sciocchi si può dare in pasto uno “sciocchezzaio” (what else?).”… “Col pensiero  liberal (di sinistra) però i “nostri” non si confrontano, poiché il mercato qui  svolge solo una funzione secondaria (rilevare lo sforzo individuale in casi particolari – se  ad esempio non vale il lavoro di gruppo).  Ecco allora una proposta degna dello “sciocchezzaio “. Si paghi  un premio monetario agli studenti (e ai loro docenti) che hanno risultati scolastici migliori. Allora avrete una specie di mercato che premia i talenti. Un  esperimento condotto in un villaggio povero del Kenya lo confermerebbe: pagando agli studenti migliori (e loro scuole) un premio monetario, non solo i premiati, ma tutti  gli studenti avrebbero migliorato la performance scolastica (cfr.p.27-28)”.5 Può essere? Mi hanno (come lettore) preso per sciocco?
“Domanda: siamo sicuri di misurare il miglioramento della preparazione culturale in modo oggettivo, oppure stiamo usando una misura approssimata, non indipendente dal comportamento strategico di insegnati e studenti? Altrimenti, ecco cosa  potrebbe essere accaduto. Gli insegnanti hanno aumentato i voti di tutti in modo da massimizzare la probabilità di premi (anche per le loro scuole).  Un po’ come le università italiane, che se sottoposte all’ incentivo finanziario a ridurre i fuori corso, faranno certamente esami più facili. In altri termini se mi pagate in base ai questionari compilati dai miei studenti, anziché insegnare i contenuti del  mio corso, spiegherò come avere punteggi elevati nei questionari.
Gli incentivi monetari agiscono,  ma non sempre nel senso giusto.   Inoltre  gli incentivi monetari possono pervertire le  motivazioni:  se prima facevi qualcosa spontaneamente (per “senso del dovere”), dopo esser stato esposto all’incentivo, non lo farai più  senza un premio finanziario.  Sono idee abbastanza semplici, ampiamente trattate dalla recente microeconomia (teoria dei giochi, economia del comportamento e sperimentale), che ottimi economisti certamente conoscono.”   
Me un altro esempio è più calzante.
“E a proposito di università, ecco un'altra storia inte­ressante che viene dalla Bocconi di Milano, risultato di un recente lavoro di ricerca svolto da uno di noi (Gia­vazzi) insieme ad Andrea Ichino dell'Università di Bolo­gna e Pietro Garibaldi dell'Università di Torino. L'Uni­versità Bocconi fa pagare tasse universitarie relativamente elevate per gli standard italiani, calcolate in base al red­dito familiare. Considerate ora due studenti a caso, uno appena al di sotto e uno appena al di sopra della soglia di reddito cha fa scattare una tassa più elevata. La differenza di reddito familiare è quindi minima. Supponen­do che l'unica differenza tra i due studenti siano le tasse universitarie, si può studiare statisticamente il loro ef­fetto sul rendimento scolastico.
Anche in questo caso i risultati sono molto istruttivi. Un aumento delle tasse universitarie di mille euro al­l'anno produce una riduzione del 6 per cento della pro­babilità che uno studente vada fuori corso, senza che la media dei suoi voti si abbassi. Il motivo è evidente: un incentivo monetario stimola l'impegno a finire gli studi, senza influire sulla qualità. Semplicemente diventa più costoso «prendersela comoda». Ecco perché spostare il finanziamento delle università dai contribuenti agli uten­ti (gli studenti e le loro famiglie) ha effetti positivi. E, se questo è accompagnato da borse di studio per i meno abbienti — concepite per incentivare la conclusione de­gli studi entro i tempi previsti —, non penalizzerebbe i più poveri.”6
Interessante però è possibile che Giavazzi, Ichino, Garibaldi abbiano ricavato la conclusione che far pagare le tasse ed aumentarle può ridurre il ritardo nel laurearsi partendo dall’esame di due casi? Non è possibile, ma allora che accidenti dice lo studio dei tre ottimi professori? E’ una prova conclusiva di ciò che Alesina e Giavazzi affermano? Non è facile saperlo perché il libro non riporta note, non cita dati, non permette riscontri, afferma apoditticamente. Per fortuna ci sono tre nomi e l’argomento dello studio, con una ricerca su internet non dovrebbe essere difficile trovare qualcosa. Ed infatti l’articolo è in inglese e si intitola “College class and time to complete a degree: Evidence from tuiton discontinous”7
Prima sorpresa gli autori sono Pietro Garibaldi, Francesco Giavazzi, Andrea Ichino ed Enrico Rettore. Hanno dimenticato il prof.Rettore, oppure l’articolo non è questo, ma un altro precedente8, oppure era in “fieri”, non posso saperlo, ma utilizzerò l’articolo per vedere cosa dice con esattezza e come è stato condotto lo studio. Intanto il nome di Enrico Rettore ( oltre a quello degli altri autori tutti studiosi serissimi e di altissima levatura scientifica). Infatti il prof. Rettore è professore ordinario in Statistica Economica nell’ Università di Padova. Insegna nella Facoltà di Scienze Statistiche “METODI STATISTICI DI VALUTAZIONI POLITICHE” e “STATISTICA” nella Facoltà di Scienze Economiche. La sua presenza nel gruppo non è casuale, infatti lo studio utilizza un metodo statistico che si chiama “Regression Discontinuty Design”9 ed i risultati sembrano abbastanza in linea con quanto dicono Giavazzi ed Alesina, e sarebbe strano così non fosse visto che uno è autore dello studio.
“Using a Regression Discontinuity Design on data from Bocconi University in Italy, we show that an increase of 1,000 euro in continuation tuition reduces the probability of late graduation by 5.2 percentage points with respect to a benchmark average probability of 80%. We also show that this decline in the probability of late graduation is not associated with an increase in the dropout rate or with a fall in the quality of students’ performance as measured by the final graduation mark. (abstract)”10
Bellissimo, risolto. Gli autori prendono come è obbligo in considerazione la letteratura precedente sull’argomento trovando che è scarsa e che i risultati sono ben lungi dall’essere univoci. Alla fine dell’analisi “To summarize, the mixed results of these related strands of literature may be a consequence of the more general ambiguity of the effects of monetary incentives highlighted by Gneezy and Rustichini (2000) and certainly require more research based on (quasi-)experimental evidence. This paper is, to the best of our knowledge, the first paper to provide such quasi-experimental evidence..”11
Come si nota molta maggiore prudenza sul significato generale dell’articolo.
Comunque l’articolo è interessante, valido per quello che ne ho potuto capire, e nel senso in cui spingono Alesina e Giavazzi12. Però non è così definitivo ed inoltre ad un certo punto, nella nota 18, dice:
“The working paper version of this article (see Garibaldi et al.(2007)) contains a model that provides restrictive assumptions under which, despite defiance, the IV estimand identifies, for compliers, the causal effect of the tuition actually paid on the probability of going Fuori Corso, i.e. the LATE. The evidence in favor of the validity of such restrictive assumption is however weak and insufficient to justify inclusion in the published version of our research project.”13 Alt! posso pensare che l’aggiunta, possibile, del prof. Rettore al lavoro abbia prodotto prudenza nell’annunciare al mondo che si aveva la soluzione al problema dei fuori corso14.
Ancora l’articolo sostiene che l’aumento della tassazione non incide sugli abbandoni, ma in nota 20 si dice:
“This result differs from the evidence of Dynarsky (2005) who exploits the introduction of two large merit scholarship programs in Georgia and Arkansas to show that a reduction of college costs increases significantly the probability of completing a degree. The difference between our and her findings, concerning the effect of college costs on dropout rates, may be explained by the fact that the two studies are based on different quasi-experimental situations and identification assumptions. In particular, her study focuses on tuition differences based on merit (a minimum GPA in highschool and in college), while in our case tuition differences are independent of merit.”15
La ricerca evidenzia anche altri elementi che riducono la probabilità di andade “fuori corso” quali la provenienza dai licei, il voto della maturità… Insomma lo studio è interessante, il metodo di analisi sofisticato, i risultati chiari, ma ogni generalizzazione è prematura. Questo nell’articolo, nel libro agli sciocchi si può ben generalizzare. Addirittura nell’articolo si dice e qui non traduco:
“Our finding – that the speed at which students decide to learn is affected by the tuition they pay – does not necessarily mean that it is socially optimal to increase continuation tuition. We do not know much about the optimal length of the learning period for a given amount of notions to be learned – this is in fact an issue rarely explored in the literature. Each student could choose the speed that she considers optimal for herself, and different individual characteristics (including different preferences for work and leisure) could result in quite different “optimal” learning speeds. To make a normative argument we need to point to reasons why individual decisions might be sub-optimal. We see at least three reasons why this might happen.
The most obvious one is that students, even in some private universities, are often subsidized by the state. If students (or their families) fail to pay the marginal technological cost of their education they will not internalize the cost to society of keeping them one more year in school and will make decisions that are socially sub-optimal. Using the tuition profile to affect their incentives can then improve society’s welfare.
Another example is the evidence of “peer effects” in education. Peer effects in school are at work whenever there is a link between the individual cost of exercising effort and the average effort elicited by the rest of the class. There is a large and growing literature on peer effects (Lavy et al. 2009; Carrel et al. 2009 Ding and Lehrer, 2005; Sacerdote 2001 for the U.S. ). The presence of peer effects offers a reason why it may be efficient to increase continuation tuition in order to modify students’ incentives. Moreover, by postponing graduation, students could create a negative externalit that produces congestion in the classroom,libraries, etc., thus affecting the learning process of their colleagues. Although our empirical work is mute on these normative issues, they each suggest relevant arguments why using the time profile of tuition to change the speed at which a student learns could be optimal.”
Così si parla quando ci si rivolge a colleghi professori e così quando ci si rivolge ai lettori:
“Il motivo è evidente: un incentivo monetario stimola l'impegno a finire gli studi, senza influire sulla qualità. Semplicemente diventa più costoso «prendersela comoda». Ecco perché spostare il finanziamento delle università dai contribuenti agli uten­ti (gli studenti e le loro famiglie) ha effetti positivi.”
Anche se la mia ipotesi, che la modifica tra le conclusione del 2007 e quella dell’articolo definitivo, fosse stata operata dal prof.Rettore, mi sembra che una maggior prudenza nell’espressione di “Il liberismo è di sinistra” sarebbe stata opportuna, in fondo era un testo che mirava a produrre un cambiamento nell’opinione pubblica e nell’attività di governo, spacciare un primo risultato, peraltro parziale, per una verità assodata ed evidente non mi sembra serio. Per quanto riguarda il testo dell’Ing. Abravanel non vale parlarne, l’autore è convinto delle sue idee e le da come assodate e valide per tutti, escluso coloro che per malafede o mediocrità, non vogliono accettare le verità scientifiche enunciate, ma di cui mai si da la fonte o si precisano i termini.
Ma l’interesse dei nostri autori nasce dai loro studi? Sono semplicemente degli “entusiasti” convinti che malgrado le precauzioni della teoria e dei risultati sperimentali il loro modello funziona? Non esistono persone del loro stesso ambito di studi o di ambito vicino che non condividono le loro opinioni, o almeno costoro non portano elementi da discutere prima di decidere? Nel libro “Il liberismo è di sinistra” chiunque non la pensi come loro è legato al passato, vuole conservare i propri privilegi, è un “mediocre” o sono mediocri le sue idee di “diritto allo studio”.
 

1http://it.wikipedia.org/wiki/Alberto_Alesina

  1. 2Uso il termine “banale” non in senso dispregiativo, ma nel senso in cui per esempio Rawls lo usava per descrivere l’analisi di Mill “Ho affermato che nella vocazione scelta da Mill non era previsto che i suoi scritti dovessero essere opere di studio signi­ficative, o contributi originali al pensiero filosofico o sociale. In realtà, tuttavia, credo che Mill sia stato un pensatore originale e profondo, ma la sua originalità sia stata sempre repressa, e que­sto per due ragioni:

Primo, ciò è richiesto dalla scelta della sua vocazione: per po­tersi rivolgere a coloro che hanno influenza sulla vita politica - coloro che (come egli afferma nella sua recensione alla Democra­zia in America di Tocqueville) hanno proprietà, intelligenza, e la facoltà di trovare alleanze (la capacità di unirsi ad altre persone per fare delle cose, specialmente in materia di governo)2 - i suoi scritti non possono apparire troppo originali, troppo accademici o troppo difficili. Altrimenti, perderebbe il proprio uditorio.” J.Rawls- Lezioni di storia della filosofia politica- Ed.Feltrinelli 2007 pg.268. Non voglio paragonare i proff. Giavazzi, Alesina, né tantomeno, l’ing. Abravanel a Mill o a Rawls, ma semplicemente prevenire la possibile obiezione che quanto scrivo sia un’indebita estrapolazione di quello che è, comunque, uno scritto occasionale.
 

3Dal sito dell’Ing.Abravanel “In Meritocrazia spiego come in Italia l’assenza di questo sistema di valori abbia prodotto una classe dirigente debolissima: la mancanza di meritocrazia è molto più pervasiva di quanto non si creda, ed è diventata la causa principale del declino della nostra economia. Una classe dirigente inadeguata di policy makers, leader e dirigenti della pubblica amministrazione e purtroppo anche di azionisti che non si sono meritati la proprietà della propria impresa.”

4http://blog.vita.it/econometica/2009/01/14/sciocchezzaio-neo-liberista/ Il prof. Sacconi è “Direttore del centro interuniversitario EconomEtica, presso l'Università Milano - Bicocca, professore straordinario di Politica economica e titolare della Unicredit chair in Economic Ethics and CSR presso il dipartimento di Economia dell'Università di Trento

5L’articolo sul blog è abbastanza interessante e vale la pena leggerlo tutto. Io ho citato solo quello che mi serviva a capire la tipologia dello scritto: non un pamphlet, non uno scritto occasionale, ma un manifesto ideologico e programmatico, basta saperlo.

6Alesina, Givazzi op.cit. 2007, pagg. 28-29

7Rintracciabile qui http://didattica.unibocconi.it/mypage/upload/48751_20090319_084138_COLLEGECOSTDEGREE_FEBRUARY2009.PDF

8In effetti su internet al riferimento, di cui sopra, compare come data il 2009, in un altro sito il 2010, in un altro ancora il 2008, il libro di Alesina e Giavazzi è del 2007. Non mi è dato sapere quale sia quello che Alesina e Giavazzi citano, ma tipologia di esperimento, conclusioni e caratteristiche descritte dagli autori corrispondono. Sotto farò un’ipotesi che potrebbe chiarire il mistero (cfr nota 33)

9Se qualcuno vuol sapere cos’è o vuol valutare se quanto dico è frutto di una mia erronea interpretazione di questo metodo (cosa possibilissima, essendo quasi completamente digiuno di conoscenze di statistica) può leggere http://www.socialresearchmethods.net/kb/quasird.php

10“Usando un sistema di Regression Discontinuity Design sui dati dell’Università Bocconi in Italia, noi mostriamo che un aumento di 1000 euro nelle tasse dei fuori corso riduce la probabilità di una laurea tardiva del 5,2 per cento su una probabilità complessiva dell’80%. Noi anche mostriamo che questa diminuzione nella possibilità di laurearsi in ritardo non è associata con un incremento negli abbandoni o con la caduta delle performance così come mostrato dal voto finale di laurea” “
 
 

11Per riassumere i risultati confusi ed il “blocco” di questa letteratura può essere una conseguenza della più generale ambiguità sugli effetti degli incentivi monetari illustrata da Gneezy and Rustichini (2000) e certamente richiede più ricerche basate su (quasi) prove sperimentali. Questo articolo è, al meglio delle nostre competenze, il primo articolo basato su (quasi) prove sperimentali. Il termine (quasi) prove sperimentali proviene dai metodi di ricerca applicati non è questo il luogo per chiarirne il significato

12Non è mia intenzione analizzare l’articolo, i metodi usati e le conclusioni a cui giunge. Non ho assolutamente le competenze per farlo. Mi limito a citare l’articolo per mostrare il carattere “ideologico” del libro che prendo in considerazione e per corroborare, fosse necessario, l’idea del prof. Sacconi.

13“La versione di lavoro di questo articolo (vedi Garibaldi et al. (2007)) contiene un modello che prevede limitate supposizioni nelle quali, nonostante la sfida, la IV “stima” identifica, confermata, il causale effetto che la tassazione attualmente pagata sulla probabilità di andare FUORI CORSO i.e Ritardo. Le evidenze in favore della validità di questa limitata supposizione è comunque leggera ed insufficiente per giustificare l’inclusione nella versione pubblicata del nostro progetto di ricerca”.

14E’ una possibile ipotesi: nel 2007 i proff. Garibaldi, Ichino, Giavazzi realizzano l’analisi e ne traggono l’ipotesi lavoro; in seguito chiedono una verifica al prof. Rettore che è un esperto del settore, il prof.Rettore suggerisce prudenza nel trarre conclusioni definitive. A suffragare la mia ipotesi un articolo dei proff. Rettore, Martini e Trivellato “LA VALUTAZIONE DELLE POLITICHE DEL LAVORO IN PRESENZA DI SELEZIONE: MIGLIORARE LA TEORIA, I METODI O I DATI?” che si conclude con le parole “La validità dei risultati della valutazione d’impatto poggia in modo imprescindibile – abbiamo visto – sulla capacità dell'analista di proteggere la valutazione da tutte le minacce rilevanti. Ora, per quanto attente siano state l’analisi del problema, l’acquisizione delle informazioni e il disegno dei confronti fra soggetti esposti e non esposti, in molte circostanze è problematico escludere che vi sia una minaccia alla validità che non è stata diagnosticata (o che non è stata adeguatamente debellata). Ne discende che, in generale, una valutazione non stabilisce definitivamente se la politica ha o meno prodotto un impatto, e di quale entità. Ne fornisce piuttosto una plausibile stima, ferma restando la possibilità che qualche altro analista fornisca una stima significativamente diversa, più plausibile e meglio suffragata dall’evidenza empirica. In questa ottica, la valutazione di una specifica politica più che un'esperienza circoscritta ad opera di un singolo analista è un processo che si dispiega nel tempo, animato dal confronto tra più analisti indipendenti l’uno dall’altro, che in un certo senso operano in competizione. Con Heckman e Smith (1995, p. 93) possiamo concludere rimarcando che “evaluations build on cumulative knowledge”.
In molte parti dell’articolo Giavazzi, Ichino, Garibaldi, Rettore mi è sembrato di cogliere lo stesso spirito.

15“ Questo risultato contrasta con lo studio di Dynarsky(2005) che impiega l’introduzione di due significativi programmi di borse di studio per merito in Georgia e in Arkansas per dimostrare che una riduzione nei costi dei college, incrementa significativamente la probabilità di completare in tempo il corso di laurea. La differenza nei nostri e loro studi, riguardo gli effetti delle tasse sugli abbandoni nei college, può essere spiegata dalla differenza dei due studi, su situazioni quasi-esperimentali e supposizioni identificate. In particolare il suo studio si focalizza su differenze di tassazione in base al merito (un minimo GPA nelle scuole superiori e nei college), mentre nel nostro caso le differenze nella tassazione, sono indipendenti dal merito.”