LA TEORIA DELLA FORMAZIONE DIETRO LE RIFORME DELLA SCUOLA DAL 2000 ALLA LEGGE 107

In un post precedente ho parlato di modello di "società di mercato" per le riforme della scuola che si sono succedute da quella che porta il nome di Berlinguer alla legge 107. Naturalmente si può pensare che questo fil rouge non sia stato dimostrato, si può ritenere sia frutto di una mia incomprensione, sia il prodotto di una resistenza del professore gentiliano verso il nuovo mondo della globalizzazione, un’arretratezza culturale. E’ difficile dimostrare che così non è e che, viceversa, la mia opposizione alle riforme, ed alla discussione sulla scuola, nasce da una consapevolezza e conoscenza dell’argomento ed ancor più difficile è farlo parlando a chi ha conoscenza superficiali legate, per lo più, alle sue personali esperienze, più o meno recenti, scolastiche.

Perciò citerò e rinvio alla lettura diretta dei testi.

Il modello base è la riforma Berlinguer, quella sull’autonomia. Nel 2008 uscì un aureo libro scritto da Vittorio Campione e Silvio Tagliagambe “Saper fare la scuola: il triangolo che non c’è” edizioni Einaudi. Il libro è una riflessione sull’opera di riforma del Ministro Berlinguer, Vittorio Campione è stato il regista intellettuale e giuridico di questa riforma, Silvano Tagliagambe è professore di Filosofia della Scienza a Sassari. Vittorio Campione è stato un dirigente CGIL ed è un intellettuale di vaglia, così come lo è il professor Tagliagambe, su internet è facile ritrovare i loro curricula. Nel libro, di cui raccomando la lettura integrale, viene citata la Strategia di Lisbona da una importante Consiglio Europeo che si tenne a Lisbona il 23 e 24 marzo 2000. Per molti di noi allora fu esaltante sentire l’Europa affermare “L’obiettivo strategico di "diventare l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale."

Naturalmente ponevamo l’accento sulla parola conoscenza, lavoro e coesione sociale. Dietro questa strategia c’è la teoria di Gary Becker, premio Nobel per l’economia nel 1992, autore molto interessante, la motivazione del Nobel recita:”per aver esteso la ricerca economica a discipline come la sociologia, la demografia e la criminologia" e per aver mostrato come i fattori economici influenzino il processo decisionale anche in aree che, in precedenza, i ricercatori consideravano dominate da comportamenti abituali e spesso decisamente irrazionali.” (wikipedia), una citazione, sempre tratta da Wikipedia mostra come ragionasse “

« Per la maggior parte dei genitori, i figli sono una fonte di reddito psicologico, o di soddisfazione. Pertanto, nella terminologia economica, essi si possono considerare un bene di consumo. I figli possono anche fornire reddito, ed in qualche caso sono anche un bene produttivo. Inoltre, né le spese né il reddito prodotto dai figli sono fissi, ma variano a secondo della loro età. Questa caratteristica fa dei figli un bene durevole, sia produttivo che di consumo. Può sembrare eccessivo, artificiale, forse anche immorale classificare i figli alla stregua di automobili, case o macchinari. Questa classificazione però non implica che le soddisfazioni o i costi associati ai figli siano gli stessi, da un punto di vista morale, di quelli che corrispondono ad altri beni durevoli»

(da G.S. Becker, L’approccio economico al comportamento umano, Bologna, il Mulino, 1998 (ed orig. 1960), p. 37)

Naturalmente ci sbagliavamo nel ritenere che i concetto di “Società della conoscenza” e “Capitale umano” fossero una valorizzazione del Sapere, ce lo svelano proprio i due autori, Campione e Tagliagambe:”L’insieme delle scelte adottate dalla UE è finalizzato a fare dell’Europa la società della conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo. La visione che i governi europei posero nel 2000 alla base delle decisioni comunitarie non si limitava ad ispirarsi, come forse qualcuno ha creduto, a un generoso egualitarismo vagamente progressista che puntasse a più occupazione e a livelli più elevati di istruzione. Il senso generale degli obiettivi derivava da una tempestiva previsione sulla competizione futura fra le maggiori aree del mondo e quindi dalla conseguente necessità di elevare la capacità dei Paesi dell’UE di moltiplicare la propria ricchezza principale fatta di conoscena e specializzazioni qualificate” ( Vittorio Campione e Silvio Tagliagambe “Saper fare la scuola: il triangolo che non c’è” edizioni Einaudi 2008 pagina 217). La scuola al servizio dell’economia, il sapere come merce. Il libro è dotto e ci sono ottimi spunti e cose interessanti, ma il frame, per parlare in inglese è questo. Questo nel 2000, andiamo al 2016, chi troviamo come capo della segreteria dell’onorevole Faraone sottosegretario al Ministero dell’Istruzione? Il Dott. Marco Campione, giovane, è nato nel 1971, con laurea in CORSO POLITICHE PUBBLICHE E FORMAZIONE: PROCESSI DECISIONALI E STRATEGIE c/o Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e MASTER IN BUSINESS MANAGEMENT c/o ISTUD Business School. In questo milieu di giovani e brillanti laureati in Management nasce la Buona Scuola in linea di continuità Campione-Campione. Ora non sorprende che gli insegnanti abbiano colto il senso delle riforma al di là delle differenze e dei preside manager, che fanno folklore, né può sorprendere che chi scopre che le conoscenze che ha acquisito sui libri possono andare al macero perché a dettare l’agenda è l’economia si ribellino. Contro gli insegnanti “gentiliani”, ma contro anche i “sessantottini”. Non è un problema di confronto o di educazione, Renzi e maleducato, berlinguer educato, ma ambedue seguono un modello di scuola che “gentiliani” e “sessantottini”, per motivi diversi rifutano. La domanda è: la Sinistra deve rifiutare questo modello? Perchè questo modello è penetrato a fondo nella Sinistra con Tony Blair e Clinton, con la Terza Via. Per quel che riguarda la scuola ed i servizi pubblici ha preso il nome di New Public Mangement

Non semplicemente un modello burocratico-amministrativo, ma una governance che “Secondo Olsen e Peters (1996) non vi è un modello uniforme di NPM, poiché ogni Stato lo declina in modo diverso, fermo restando il nucleo minimo costituito dalla introduzione nel settore pubblico dei meccanismi del mercato e della competizione tramite il ricorso alla contrattualizzazione e alla managerializzazione (Governance without government).”

In genere post troppo lunghi non vengono letti, credo di aver dimostrato a sufficienza il fil rouge che lega le riforme del 2000 alla legge 107, passando per tutte le altre. La domanda ora è: Articolo 1 vuole proseguire nelle politiche della Terza Via o vuole costruire un’alternativa, un nuovo modello? E per inciso non si tratta del classico Stato o Mercato, perché le politiche neolaburiste e neoliberali sono stataliste, costruisco brocrazie asfissianti, non sono affatto liberali, l’incompresnione di questo è forse il limite maggiore del documento di Articolo 1